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Calabria “imperdibile” per il New York Times

 Calabria da scoprire tra mare, bergamotto e antichità greche

Viene subito dopo le Maldive, anche se il mare e le spiagge dello Ionio e del Tirreno, specialmente Tropea e Amantea, Soverato e Roccella Jonica, hanno ben poco da invidiare a certi atolli bagnati dall’Oceano Indiano. E precede il paesaggio aspro e rupestre dell’Andalusia che nulla può del resto al confronto, ad esempio con il Canyon delle Valli Cupe lungo oltre dieci chilometri. Ma soprattutto unica destinazione italiana menzionata, precisamente al 36° posto, la Calabria è entrata a sorpresa nella prestigiosa classifica dei 52 posti da visitare stilata annualmente dal «New York Times» e solitamente capace di «guidare» milioni di viaggiatori. A stuzzicare gli americani è stata la qualità del cibo, non solo soppressata, capocollo e peperoncino, bensì anche i livelli di eccellenza raggiunti dal Ristorante Ruris dove rappresenta un’esperienza gastronomica unica mangiare il pesce fresco dopo essersi bagnati nel turchese mare di Capo Rizzuto con lo sguardo rivolto al castello aragonese, un abbacinante miraggio. A stregare i cacciatori di luoghi americani sono stati anche i piatti di Antonio e Luca Abbruzzino che a Catanzaro esaltano la cipolla di Tropea. Per quanto accolto con piacere, è uno stupore tardivo. 

LO SCRITTORE DOUGLAS

Già lo scrittore e travel writer Norman Douglas poco più di un secolo fa nel libro «Old Calabria» aveva capito quanto ricca fosse questa terra incuneata tra due mari, dalla quale migrarono in migliaia e migliaia, come racconta il museo, a forma di transatlantico, La Nave della Sila a Camigliatello, una delle ricchezze culturali dell’omonimo, splendido altipiano in cui tra i boschi e i greggi, si resta con il naso all’insù al cospetto di quei giganti arboricoli che sono i pini larici cinquecentenari chiamati i Giganti di Fallistro.

Rispetto ai tempi di Douglas in cui si viaggiava anche in groppa agli asini, anche se il tempo qui corre decisamente più lento – anzi, nel borgo fantasma di Ferruzzano alta, a Pentedattilo poggiata su rocce sporgenti come denti, a Roghudi che rotula giù sin quasi a precipitare dentro la sua grigia fiumara sembra quasi essersi proprio fermato -, ora in automobile, arrivando tramite quella Salerno-Reggio Calabria di cui è stato… appena celebrato il battesimo, si può compiere un viaggio nella bellezza selvaggia di questa regione che ha dato i natali al filosofo Tommaso Campanella, originario del bel borgo di Stilo, e ha adottato Pitagora a Crotone.

 

L’ARCHEOLOGIA

Il benvenuto lo danno naturalmente i Bronzi di Riace, che adesso, nella nuova collocazione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio, hanno una sala tutta per loro, in cui si possono ammirare per un massimo di 20’, mentre prima si può indugiare a lungo tra teste in bronzo del V secolo, sculture in marmo, e pinakes ovvero le tavolette votive dell’antica Locri così finemente cesellate. La riscoperta del passato archeologico calabrese, dopo una passeggiata addolcita da un gelato spalmato nella brioche in uno dei chioschi del lungomare di Reggio (purtroppo i bergamotti qui sono scomparsi, ma il caso e il vento regaleranno altri incontri con questi agrumi e i loro profumi), può continuare sino al sito – accanto c’è anche un bel faro – di Capo Colonna, a quello di Sibari fondata tra due fiumi dagli Achei. Anche Locri Epizefiri era un importante città della Magna Grecia e conserva i resti di un tempio ionico.

 

COSTA E INTERNO

Il segreto per provare a capire la comunque e sempre un po’ sfuggente Calabria è quello di zigzagare tra la costa e l’interno, salendo ad esempio a Gerace, un paese belvedere che vanta palazzi nobiliari, chiese, un castello normanno. Bova, dove si parla un dialetto impregnato di greche parole e reminiscenze, è un luogo immerso in un paesaggio un po’ western, che colpisce dritto al cuore per la gentilezza dei suoi pochi, resilienti abitanti. In tutta la Calabria, l’uso della seconda persona plurale, il «voi», sorprende il viaggiatore desueto a forme verbali di un rispetto antico, da Cosenza, città bellissima grazie alla sua amena collocazione geografia proprio alla confluenza tra il Busento e il Crati e ai palazzi fané del suo medioevale centro storico, sino all’Aspromonte.

Sin qui, in questo arcigno, misterioso antro boschivo alle pendici degli ultimi Appennini, bisogna spingersi, per vedere anche la Calabria più schiva e noir, raggiungendo il solitario Santuario della Madonna di Polsi, venerata da chi sceglie una vita di illegalità. Tanto poi c’è sempre il mare, specialmente lei, Tropea, così bella che anche Ercole, il suo leggendario fondatore, di ritorno dalle Colonne, si prese una tale sbornia di beatitudine quando vi approdò da non voler più ripartire. Sia che siate laggiù accoccolati sulla sabbia, che lassù nel borgo a guardare dall’alto la linea azzurra del mare, capirete perché da qui, come poi dalla Calabria andarsene sia tanto difficile.

(fonte: La Stampa)